venerdì 2 dicembre 2016

LE POLITICHE POCO “ATTIVE”, COSÌ L’ANPAL ELEVA A SISTEMA IL FLOP DI GARANZIA GIOVANI.

Vincenzo Tondolo richiede:


da IL FATTO del 30 novembre 2016


Parte solo ora l’Ente nazionale del Jobs Act. Con la Riforma costituzionale gestirà tutte le misure sul lavoro. Problema: favorisce i privati e ricopia un modello fallito 

        di MARTA FANA * 
È operativo da ieri l’ultimo tassello del Jobs Act, l’Agenzia Nazionale per le Politiche Attive (Anpal), che avrà il compito di gestire la ricollocazione dei disoccupati. Ad annunciarlo il ministro del Lavoro Giuliano Poletti e il presidente Anpal, Maurizio Del Conte. Prende così forma, come già trapelava da mesi, il protagonista delle politiche attive, cioè “l’assegno di ricollocazione”. Una dote tra i 250 e i 5.000 euro che il ministero garantisce agli enti accreditati capaci di trovare un impiego per un disoccupato, beneficiario dell’indennità di disoccupazione (Naspi) da almeno quattro mesi. Operativamente è il disoccupato che fa richiesta dell’assegno, registrandosi sul sito dell’Anpal o presentandosi a un centro per l’impiego: dichiara la disponibilità immediata a lavorare e sceglie poi l’ente accreditato “che offre i servizi più adatti alla propria condizione”. Inserendo i propri dati e le esperienze lavorative riceverà in cambio un “indicatore di occupabilità” cioè la carta di identità lavorativa da cui dipenderanno le misure e i servizi proposti. Un “intervento storico” per il ministro del Lavoro Giuliano Poletti, che però merita un’analisi dettagliata per comprenderne la reale portata
Innanzitutto, l’assegno di ricollocazione non è reddito, ma un bonus erogato ai cittadini che può essere speso solo a favore degli enti accreditati, i centri pubblici per l’impiego da una parte e dall’altra le agenzie per il lavoro: Pubblico e privato che competono per dare un buon servizio”. Una competizione, però, falsata in partenza: potranno infatti ricevere il bonus anche le agenzie per il lavoro che stipulano un “contratto di somministrazione”, cioè il lavoro interinale – l’agenzia assume il lavoratore e lo presta all’impresa – che però vale soltanto per quelle private (i centri per l’impiego non possono farlo). Così si favorisce l’occupazione in somministrazione e si spostano risorse pubbliche verso soggetti privati nonostante la condizione disastrosa in cui versano ormai da anni i centri pubblici per l’impiego sull’intero territorio nazionale.
L’assegno di ricollocazione varia poi a seconda del tipo di contratto all’assunzione e al tipo di profilo del disoccupato: aumenta sia con la durata del contratto sia con la condizione di “marginalità” dal mercato del lavoro. Da anni, però, i dati mostrano che i posti offerti dalle imprese si concentrano in settori a scarsa produttività. Il rischio così è che i lavoratori dovranno accettare qualsiasi offerta pur di non perdere il diritto all’assegno, che per la gran parte andrà ad aziende a scarsa produttività, quelle che competono soprattutto sul costo del lavoro. Un danno per il sistema economico e industriale nel suo complesso.
Il sistema è appena partito, ma per capire i rischi basterebbe osservare il suo fratello gemello in piedi da quasi due anni, il programma “Garanzia Giovani” nato su input europeo per contrastare la disoccupazione giovanile: uguale è il meccanismo di iscrizione ed estremamente simile il bonus occupazionale. Come sta andando? Il programma presenta mese dopo mese il conto del fallimento. Stando ai dati dell’Istituto per lo Sviluppo della Formazione Professionale dei Lavoratori (Isfol), a fronte di oltre un milione di iscritti, sono state erogate solo 344.318 misure, il 34% del totale. Altra nota dolente è la tipologia di contratti offerti: il 56% è fatta da semplici tirocini, solo il 16% da contratti di vario tipo (a tempo determinato, indeterminato e in somministrazione).
Stando al rapporto Isfol, da maggio 2014 a fine ottobre 2016 attraverso la garanzia giovani sono stati attivati solo 27.359 contratti a tempo indeterminato. L’istituto però non dice nulla sulla durata di questi contratti. Quello che invece ha fatto l’Inps nel rapporto sulle politiche occupazionali pubblicato il 23 novembre scorso. L’Istituto di previdenza calcola il numero di contratti che coprono l’intero anno di beneficio del bonus: se un contratto dura solo tre mesi allora sarà conteggiato come un quarto di contratto perché il bonus è corrisposto soltanto per una parte di anno. Stando a questo calcolo, il numero di contratti a tempo indeterminato legati alla garanzia giovani con sgravio contributivo sono 6.133, l’1,8% di tutte le misure erogate. Tecnicismi a parte, entrambi gli istituti testimoniano il progressivo il fallimento del programma, un sistema che ora il governo vuole erigere a modello delle politiche attive del lavoro a livello nazionale.
La riforma costituzionale, infatti, affida la materia esclusivamente allo Stato sottraendola alla competenza regionale. “Per le politiche attive, oggi abbiamo corsi di formazione o centri per l’impiego diversi in ogni regione. Ed è soprattutto il Sud ad essere penalizzato, perché il sistema non funziona. Con la riforma al Sud avrebbero gli stessi livelli del Nord”, ha spiegato domenica il premier. E il modello sarà appunto l’Anpal, che non ha fatto tesoro del fallimento della garanzia giovani. Anche al netto delle risorse stanziate per superare il divario (di cui la riforma non si occupa) così si rischia di acuire la distanza perché si trattano in maniera uguale contesti occupazionali differenti. Al Sud la domanda di lavoro delle imprese è infatti molto più bassa sia per qualità che per quantità della media nazionale, che già non brilla. Se ai disoccupati del Mezzogiorno verrà offerta la stessa politica attiva sul lavoro di quelli del Nord, senza agire sulle imprese, il rischio è che continueranno ad avere minori opportunità. Concentrare tutte le politiche del lavoro spoglia le Regioni della possibilità di introdurre correttivi alla politica nazionale, per esempio per ridurne gli effetti distorsivi.
 *Ricercatrice all’università SciencesPo di Parigi

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